Montalto, nostro bene comune.

Serafino Sacconi missionario gesuita.

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II giorno 16 febbraio 1852, in Montalto, la famiglia dei Sacconi veniva allietata dalla nascita di un maschietto, 4° figlio, a cui venivano imposti i nomi di Quintilio, Carlo, Antonio, Nicola, Filippo.

All'età di 16 anni Quintilio entrava nella Compagnia di Gesù, assumendo in religione il nome di Serafino.

Il Can. Pistolesi nel settembre 1911 così scriveva di lui su « Il Risveglio » (articolo inserito poi in « Altodunensia»):

" Il 25 del p. p. Agosto moriva presso Diin Ible (Palestina) il P. Serafino dei Conti Sacconi.
Era partito la mattina del 21 da Beyrouth, sede principale dell'ordine, per un lungo corso di predicazione: e dopo tre giorni di cammino (spirito di sacrificio e desiderio d'imitare il Divino Maestro lo avevano spinto da tempo a rinunciare ad ogni mezzo di trasporto) era giunto alla Città di Cana mentre il servo che fino allora lo aveva seguito a cavallo correva a precederlo alla meta per preparargli il vitto della sera. Ma sul tramonto una grande stanchezza lo costrinse a fermarsi presso un mulino: ripreso l'indomani il cammino, giungeva sul mezzoggiorno in vista di Diin Ible. Il caldo sofflocante e il disagio gli avevano tolto le forze: sedette un poco all'ombra di una grande quercia: poi bevve del latte offertogli da un pastore e mandò a chiedere una cavalcatura proseguendo a camminare lentamente. Dopo pochi minuti una donna che veniva per la medesima strada trovava il Padre disteso in terra ferito alla fronte e alla testa senza moto e senza vita!

Questa morte, tragica nella sua semplicità, è la degna fine di una vita di apostolato e di sacrihcio spinto fino all'eroismo. Nato nella nostra Montalto il 16 Febbraio 1852, nei suoi divertimenti e nelle sue aspirazioni d'infanzia aveva subito mostrato una singolare vocazione per la vita religiosa. Appena giovinetto entrò nel Seminario Romano a scopo d'istruzione e di educazione: e nei quattro anni che vi rimase, sempre emergendo negli studi e nella pietà, non lasciò trascorrere una settimana senza inviare una calda preghiera ai genitori e allo Zio Cardinale per ottenere il consenso di entrare nella Compagnia di Gesù: giammai pensò alla vita del mondo, che la nobiltà del sangue e l'alta posizione sociale gli promettevano brillante. Nell'ottobre del 1868 fu ammesso al noviziato in S. Andrea in Quirinale e vi entrò con tanta gioia che dimenticò perfino di prender commiato dallo Zio e dal padre Conte Agostino che ve lo avevan condotto: e a tutti  quelli che lo visitarono in quel tempo diceva candidarnente che gli pareva d'essere in paradiso.

Nel i880 fu inviato nel Belgio: poi passò nel Collegio di S. Maria Laak in Prussia per compiervi gli studi teologici e di là a Beyrouth: celebrò la prima messa nel S. Sepolcro in Gerusalemme e vi promise di dedicarsi tutto alia vita delle anime.

Aveva allora 24 anni: forte e vigoroso nella persona, nutrito di profondi studi, conoscitore perfetto di molte lingue e tutto infiammato di santo zelo, abbracciò con entusiasmo una vita di lavoro, di pericolo e di sofferenza: e questa vita ha continuato calmo e sereno per 34 anni fino al giorno della morte. Si è spinto fra popoli selvaggi ed ignari delle cose del cielo: ha traversato deserti, foreste, regioni : né mai il caldo eccessivo, la soverchia lontananza, il pericolo da parte di popoli barbari, l'odio contro i bianchi, lo distolsero dal dare corso alla sua missione.

Infinito è il numero delle prediche da lui fatte e delle conversioni ottenute: ma di esse come pure dei sacrifici che a lui costarono, sarà solamente consapevole il Divino Maestro: perché soleva non parlare mai di sé e dell'opera sua e tutto ascrivere alla grazia di Lui. « Era un santo » questa è la voce concorde dei suoi compagni di laggiù. In un fascicolo di Propaganda Fide si narra com'eglinsi recasse una volta in un paese dell'alta Galilea ove mai era apparso un Sacerdote: gli abitanti increduli e riluttanti alla sua parola di luce e di verità, lo richiesero, come prova tangibile del Dio immensamente grande e buono ch'Egli veniva a rivelare, di distruggere e scacciare le cavallette da cui erano infestati. Rispose il buon padre ch'egli non aveva ricevuto un tal potere, ma che pure nel S. Sacrificio della Messa avrebbe pregato per il soddisfacimento del loro desiderio. Effettivamente le cavallette scomparvero e quegli abitanti si convertirono.

E nell'ultima sua lettera scritta ai congiunti appena cinque giorni prima di morire, appare un presentimento e una calma davvero misteriosa: egli infatti dice che la sua missione è finita e che altro non gli resta se non prepararsi per l'eternità: e soggiunge: «Io credo che morrò lavorando e ciò mi farà piacere». Egli presentiva il Cielo!

P. Serafino, nipote del Cardinale Sacconi, era anche secondo cugino dell'Arch. Conte Giuseppe Sacconi (6° grado collaterale), in quanto i rispettivi nonni erano fratelli germani.

Concludendo, ci piace constatare che la famiglia Sacconi ha le carte in regola non solo nella nobiltà, nel genio, nella carità, ma anche nella santità.

ADA

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