Montalto, nostro bene comune.

SOR AMEDE’ E L’UFFICIALE CANADESE

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SOR AMEDE’ E L’UFFICIALE CANADESE

sor-amede-e-lufficiale-caIntorno agli anni quaranta, a Montalto, si stabilirono soldati di nazionalità diverse: dai tedeschi ai polacchi, agli indocinesi, ai canadesi.

Un ufficiale di questi ultimi era in affari con Sor Amede’, proprietario terriero, che se la passava bene nonostante le particolari ristrettezze della guerra.

Sor Amede’, in cambio di uova fresche, carni salate, frutta, verdura e di qualche pollo bello e spennato, si riportava a casa quelle cose che da tempo erano uscite da ogni sorta di mercato: saponette profumate, cioccolato, zucchero, caffè e tabacco. La mancanza di tabacco poi era una croce per ogni fumatore: le foglie di granturco essiccate, ormai nella pipa di tutti, non si strozzavano proprio.

Un pomeriggio, Sor Amede’ arrivò in paese con un calesse da caccia guidato da uno dei suoi contadini. Nel cassone nascondeva un canestro, ammantato con una vecchia coperta, pieno di ogni ben di Dio da far girare la testa anche a chi non aveva fame; figuriamoci a chi ne aveva troppa come Taccunè e Pirelli.

Fermò il calesse lungo il viale Peretti, lasciò di guardia il contadino e si incamminò verso il palazzo Sacconi per trattare con l’ufficiale canadese.

I due compari erano da tempo a conoscenza di quell’andirivieni e giravano intorno come mosche su una pizza di mucca cotta al sole; si limitarono ad uno sguardo d’intesa e si trovarono in perfetta sintonia.

Pirelli, con la scusa che un aereo colpito precipitava, cinse amichevolmente il contadino con un braccio sulle spalle e se lo portò verso la balaustra per osservare meglio. Non faceva che indicare quell’apparecchio che si vedeva e non si vedeva: non si vedeva perché non c’era e la lontana scia di fumo, altro non era che una ingannevole striscia nuvolosa nel cielo velato.

Il contadino di guardia era tranquillo: non avendo visto Taccunè era convinto che l’unico individuo presente, in tutta l’area, fosse quello che gli teneva amichevolmente la mano sulla spalla ed era quindi sotto stretto controllo.

Intanto Taccunè, guardingo come il gatto che dà la caccia al sorcio, si impossessò del canestro e scappò via con le gambe in testa. Pirelli, che aveva compiuto il suo mandato, salutò il contadino e si diresse verso il Piano, dove Taccunè era già pronto e lo aspettava per godersi lo spettacolo che non tardò ad andare in scena.

Di lì a poco Sor Amede’ fece ritorno verso il calesse, accompagnato dall’ufficiale canadese, a quell’ora più che brillo, e dal suo attendente che portava un bel po’ di fagotti.

Quando il capitano prese atto che il canestro non c’era, sembrò di essere in prima linea. Fece un pandemonio, mise mano alla pistola e, alticcio com’era, ci mancò poco che ci scappasse il morto.


A Sor Amede’, sconvolto e spiritato, furono buone le gambe per salire a cassetta e scappare come il vento, mentre il contadino annaspava per assicurarsi meglio sul calesse, a malapena guadagnato in corsa.

Taccunè si appropriò di tutto quel ben di Dio per scherzo, ma se lo mangiò per davvero assieme all’amico Pirelli.

Si giustificò dicendo: “Questo non è tempo d’amici; la guerra è guerra e la fame è fame!”

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