Un grande missionario piceno, BASILIO MASSARI (1870 - 1945), una vita per la Birmania.

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Category: Biografie Illustri
Last Updated on Saturday, 20 April 2013 15:27
Written by Franco Regi
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basilio massariUn grande missionario piceno, BASILIO MASSARI1, una vita per la Birmania

L'uomo discende dalla scimmia, oppure...

Io credo che sia stato Dio a creare l'uomo, ci mancherebbe altro; e che lo abbia creato nel sesto giorno, durato che sia ventiquattr'ore o qualche milione di anni.

E credo che i miei progenitori siano stati Adamo ed Eva, e non una coppia di scimmie, e neanche Lucy2 e il suo maschio australopithecus, comun­que si chiamasse.

Ma apprezzo anche chi sostiene che Dio abbia dato il primo impulso alla vita, e che poi ci sia stato un affinamento della specie: tra scienza e fede ci sono molti margini di accomodamento, nei secoli a venire. Nel frattem­po continui pure la diatriba fra creazione ed evoluzione.

A proposito di evoluzione mi viene in mente come, nel linguaggio popolare, questo termine si semplifichi nell'espressione «l'uomo discende dalla scimmia».

Ma se uno, come è successo a me, apre un libro e casualmente legge che presso certe tribù della Birmania si crede il contrario, e cioè che sia la scimmia a discendere dall'uomo...3, sfido chiunque a resistere alla curio­sità di saperne qualcosa di più. Fu questa la banale occasione che mi fece incontrare il nome di Basilio Massari, missionario in Birmania nella prima metà del '900.

Ricordo di aver raccontato il fatto a un religioso di grande statura culturale, con il segreto intento di farci una risata; ma lui mi rispose seriamente e secca­mente: «È più tacile che abbiano ragione quei selvaggi birmani che non i nostri evoluzionisti», e il discorso finì lì.

Ed anche questa faccenda finisce qui, perché quella è una credenza, tra le tante, strane e meno strane, di tribù all'epoca ancora isolate (non voglio dire «selvagge»). Però è quasi una vergogna venire a conoscenza di un grande per­sonaggio per via di un'ingenua storiella, piuttosto che per la sua opera.

Ma tant'è che ciò accade.


Sull'attività missionaria

Basilio Massari apparteneva all'Istituto per le Missioni Estere di Milano.

Nei programmi e nelle prospettive delle scuole missionarie, al primo posto si mettono, in genere, la civilizzazione e la conversione dei non cristiani: e que­sto è motivo di critiche, poiché si vorrebbe che al primo posto si mettessero motivazioni più pratiche, come la lotta alla fame e alla malattia; e mi sembra giu­sto.

La nostra mentalità è alquanto cambiata in confronto all'affannosa preoccu­pazione e al sacro fervore per la salvezza delle anime degli «infedeli»; ora la sen­sibilità primaria è quella di essere uomini veri prima che santi presunti, e di star vicino alle necessità umane di nostri simili, di alleviare le loro sofferenze, di curare le loro malattie, di migliorare il loro tenore di vita, di dar loro anche una dignità; e siamo convinti che il buon Signore non ci condanni per questo.

Ma in presenza di una vera e grande fede (qual si richiede ad un autentico missionario, che per la sua stessa scelta non può che considerare insufficiente una fede senza le opere), la missione vede in prospettiva anche l'affrancamento dei popoli dalla condizione di ignoranza, di miseria, di ingiustizia.

Nel primo '900 si cominciò a guardare con occhi diversi (più razionalmen­te) la missione, e anche questo fu un piccolo, ma importante segno: i «superio­ri» della propaganda missionaria ritennero necessario togliere «tutto quel vec­chio frasario che, puntando su episodi ridicoli e crudeli, sembrava aver di mira più il disprezzo che l'amore per i fratelli infedeli»4.


Esempi illuminanti

Daniele Comboni, che moriva qual­che anno dopo la nascita del Massari, aveva lasciato il segno con le sue grandi intuizioni e realizzazioni, anche se le sue idee avrebbero dovuto attendere molti e molti decenni, prima di essere (ma lo sono ancora?) comprese appieno: il suo Salvare l'Africa con l'Africa non era uno slogan, ma un «Piano per la rigenerazio­ne dell'Africa», con la lotta allo sfrutta­mento e allo schiavismo, con la promo­zione della cultura e del lavoro, con l'af­francamento dal colonialismo; un pro­getto al di sopra degli interventi delle singole Nazioni e degli interessamenti dei singoli Ordini religiosi: un'Africa autosufficiente, perla splendente, nigricans margaritae padrona di se stessa.

Al tempo dei conquistadores ('500), quando la penetrazione in territori appena scoperti era improntata a conquista armata, sfruttamento e sopraf­fazione, Bartolomeo Las Casas dovette affrontare da solo il colosso spa­gnolo per proporre, inascoltato, una diversa visione delle cose6.

Egli riteneva giusto rispettare la libertà e le proprietà degli Indios dell'America centrale, dichiarando perfino che essi erano scusabili dell'uc­cisione di alcuni missionari, a causa dei massacri perpetrati dai cattolici spagnoli; ripudiava i metodi seguiti dagli altri missionari, le conversioni forzate, i battesimi di massa, sosteneva che gli indigeni avevano pari dirit­ti e pari dignità rispetto agli europei ed avevano ragione ad opporsi alle invasioni. Inoltre, circa le conversioni, predicava che i cristiani dovevano mostrarsi veramente degni di tal nome.

Las Casas fu contrastato e perseguitato, con l'accusa di essere più d'ac­cordo con gli infedeli che con gli Spagnoli.

Rara avis, per non dire unica, di quell'epoca.


Dalla Birmania con (vero) amore

Basilio Massari si trovò ad operare nel sud-est asiatico, nella difficile terra di Birmania7, per oltre un quarantennio.

Anch'egli, già nei primi anni di perma­nenza, sentì il bisogno di assolvere a un dovere non solo caritativo ma anche umani­tario; infatti si premurò subito, cosa non comune, di conoscere e studiare l'ambiente socio-culturale della regione: e lo fece in maniera tanto sistematica, che le sue osser­vazioni sui modi di vivere, usi, costumi, credenze, formarono un libro che diede alle stampe in Italia nel 1914, per farne omaggio ai benefattori della sua missione e per rica­varne dei proventi per la stessa.

Non un libro autocelebrativo, quindi, malgrado il titolo Quindici anni di aposto­lato. Vi sono presenti notazioni storiche, politiche, religiose, nonché osservazioni sulla flora, sulla fauna, sulla meteorologia, sull'economia. Ma soprattutto vi vengono descritte, nelle loro peculiarità, tutte le tribù, con le loro caratteristi­che e le loro caratterizzazioni, dall'abbigliamento alle superstizioni,8 dall'indo­le ai tratti somatici.


Qualche curiosità

Gli Shan (Keng-Tung), sia uomini che donne, hanno una gentilezza tutta propria ed anche in mezzo alla confusione di un bazaar non alzano mai la voce.

Le ossa di gallina sono il dizionario, il vade-mecum del Cariano Rosso: egli le consulta per sapere dove convenga piantare il villaggio, se gli con­venga sposare una data ragazza e quale giorno fissare, quando è il caso di seminare e di raccogliere, se una malattia è mortale o no, quale direzione tenere in un viaggio e così via; «Insomma il Cariano Rosso non muove un dito senza prima interrogare le galline».

Se c'è un ospite in un villaggio Lattà, tutte le famiglie del villaggio gli portano da mangiare, «ed il povero malcapitato deve rassegnarsi a mangia­re da tutti i piatti».

I Wa selvaggi indossano una striscia di cotone larga tre dita: questa, passata fra le gambe, è condotta intorno ai lombi; il resto del corpo è nudo. E se la veste delle donne Kaw a stento arriva quattro dita sopra il ginocchio, le donne Wa indossano una sottana «spaventosamente corta» e talvolta... gli ornamenti suppliscono alla mancanza di vesti.

Queste sono solo alcune curiosità, tra le tante situazioni serie, dram­matiche ed anche crudeli, nelle quali ci si può imbattere; i succitati Latta, ad esempio, conosciuti soprattutto per la loro generosa ospitalità, non solo puniscono l'adulterio con la morte ma, sospettando che i settimini siano frutto del tradimento, se la madre muore sono seppelliti vivi insie­me con lei.


I Prè

Sulla tribù dei Prè l'autore opera uno studio sistematico, ammirandone la saggezza (espressa ancora in forma gnomica), analizzandone le abitudi­ni di vita, dalla nascita alla morte, e seguendoli fin nelle credenze dell'al­dilà, dall'origine del mondo alla destinazione finale. Uno studio antropo­logico, insomma.

Ci limitiamo a riferire una loro particolare usanza, un po' strana per noi, ma estremamente gentile vista dalla loro parte: «Quando il bambino sa appena balbettare due parole, i genitori già pensano a procurargli la sposa. Il contratto vien fatto di comune accordo coi parenti d'ambo le parti, che in seguito si stringono in amicizia. Nessuno perciò mangia il frutto del campo, le carni degli animali uccisi, il frutto della pesca o della caccia senza prima averli condivisi con i futuri parenti».

In casa, alla donna è attribuita un'importanza basilare:

Chi perde la donna piange pel lutto in casa:

si resta senza maiale e senza galline,

si resta senza acqua e senza legna,

si resta senza fuoco e senza coperta,

si resta senza calzoni e senza giacca.

E la mamma chiama il figliolo defunto:

Sei là un pulcino senza madre

Sei là un uccello senza nido.

Senti il gallo? Credi la mamma che ti chiama.

Senti l'uccello? Credi il fratello che risponde...

Nessun altro Cariano piange, nessun altro è sensibile come il Prè, malgrado la sua indole chiassosa e vendicativa..

Altre pillole di antica saggezza:

II far male produce tutti i malanni

Se vuoi salire la scala, sappila salire

Se entri nella casa altrui, vedi bene di non macchiarti

Non è bello due cani bisticciarsi

Senza madre è assomigliarsi alla foglia senz 'albero

Senza padre è assomigliarsi al campo senza coltura.


Apostolato eroico: mons. Tornatore

Potrebbe sembrare un mondo ancora felicemente primitivo, quello dei cosiddetti selvaggi; sembra una visione idilliaca, colta in una situazione otti­male e idealizzata, che neanche avrebbe bisogno di un missionario. Ma i problemi quotidiani sono tanti e di tale gravita, che sarebbe veramente un peccato (mortale) lasciare in abbandono quei poveri cristi, o poveri diavoli che fossero.

In certe condizioni, il non intervento non significa rispetto ma menefreghi­smo, significa semplicemente dire «arrangiatevi, che volete farci, la Natura (o Dio) ha voluto così. Rivolgetevi ai vostri dei, ai vostri spiriti, ai vostri stregoni, agli ossi delle vostre galline».

E non ci riferiamo alle sole superstizioni, bensì alla fame, alla miseria, alle catastrofi naturali, alla piaga delle malattie e alle piaghe della lebbra. È qui che il missionario diventa apostolo ed eroe, e non disgiunge la cura delle anime dalla cura dei corpi.

In questa gara, Basilio Massari ha davanti agli occhi, come modello, la nobi­le figura di mons. Rocco Tornatore di Mondovì, il cui zelo nel curare le anime era pari allo zelo che usava per curare i mali del corpo: e questo «nella più com­pleta oscurità, senza che nessuno possa mai conoscere la sua dedizione e le sue sofferenze per estendere il regno di Dio in quelle contrade e nel suo esercizio continuo di carità corporale».

Chi potrà mai raccontare quanto ha fatto nei tre anni della carestia durata dal 1873 al 1876, con una quarantina di villaggi cristiani da amministrare quasi da solo! Egli cercava l'anima ed il corpo del povero lebbroso, del coleroso, del vaioloso come la cosa più naturale del mondo...; gli atti più grandi li compiva colla semplicità dell'uomo pel quale l'eroismo è virtù abituale...

Un vero vanto per il giovane Massari quello di aver collaborato con l'ormai vecchio mons. Tornatore, suo maestro e missionario per quarantanni, di aver­gli amministrato l'estrema unzione e di averne raccolto l'ultimo respiro.

Certo, il fine ultimo dei missionari era quello di assicurare a più persone pos­sibili la salvezza dell'anima, e per questo fine ci si poteva trovare anche in con­correnza con rappresentanti di altre religioni: ma se il papa Leone XIII chiamò il Tornatore l'Eroe della Birmania, fu soprattutto perché a motivo del suo com­portamento «fu stimato, ammirato ed amato da cattolici, protestanti e pagani»9.

Crediamo che questo sia stato, e sia, il più bel riconoscimento che si possa dare ad un vero missionario.


I rapporti con la nostra diocesi

Attraverso il Bollettino La Diocesi di Sisto V e in seguito il Foglietto Diocesano di Montalto e Ripatransone, Basilio Massari cerca di avvicinare i let­tori, gli amici e i sacerdoti alle missioni; e così tiene informati con le molte sue lettere i buoni cristiani delle due diocesi sulla situazione delle terre in cui opera.

Il buon vescovo Luigi Ferri lo raccomanda sempre alla pietà popolare, affin­ché sia generosa nel sostenerlo, dando egli stesso per primo l'esempio.

Veramente, la popolazione delle nostre diocesi era di per sé molto sensibile alla causa missionaria, certamente anche a motivo del fascino suscitato dalla mistica figura di Maria Assunta Pallotta di Force, morta giovanissima nel 1906 in Cina ed ora santa10: per alcuni anni, quindi, due nostri condiocesani opera­rono contemporaneamente con somma dedizione nell'Asia estrema.

Non so se i due si siano mai conosciuti, ma i nostri fedeli ne avevano buona conoscenza, di persona o per fama, e partecipavano sempre con generosità sia alle varie «Giornate missionarie» sia agli appelli, alle gare, alle iniziative propo­ste 11 altrettanta sensibilità dimostravano le Commissioni diocesane e l'Unione Missionaria del Clero, tanto che don Giacomo Scalabroni, allora direttore delle Opere Pontificie Missionarie in Montalto, poteva annunciare che nel 1928 la diocesi aveva meritato il primo posto fra tutte le diocesi d'Italia per lo slancio dei fedeli nell'annuale contributo12.

A queste offerte per le Missioni in generale si aggiungevano quelle specifiche per il Padre Massari, particolarmente inviate dai suoi amici personali, dagli ex compagni del Seminario di Montalto13 ed anche dai parroci e da privati delle due diocesi, sempre stimolati dal vescovo Ferri.

Ma era una goccia d'acqua in un oceano!


Iadò

ladò, il villaggio cui P. Basilio fa capo, è una piccola oasi: c'è la chiesa con annesso orfanotrofio, realizzati con «la carità» di don Giacomo Agasucci, par­roco di Montedinove; c'è una scuola, maschile e femminile, dove oltre all'istru­zione religiosa e scientifica si formano i catechisti, si insegna musica vocale e strumentale con la banda, ed anche arte drammatica. Gli indigeni sono molto portati alle arti, utilizzate anche come svago.

E pensare che fino a poco prima anche i catecumeni «avevano la testa più nella guerra e nelle liti che nella religione»: perfino in chiesa andavano con i fucili carichi, di notte alcuni dormivano con le armi sotto la testa ed altri vegliavano, scaricando di tanto in tanto il fucile per avvertire della loro pre­senza...

Ma ora è diverso, ed anche l'autorità è più tollerante14.


La festa cattolica dei monti

Ogni anno sulla cima di un monte si svolge una festa particolarissima, alla quale partecipano cattolici, protestanti e svariate tribù, che parlano lingue diverse l'una dall'altra. Si calcola in genere la presenza di diecimila persone.

La festa dura tre giorni, e Padre Massari ne è un entusiasta animatore; si svol­gono cerimonie religiose, la banda suona inni occidentali e religiosi, mentre ogni tribù canta le sue canzoni e suona le sue musiche attorno a mille e mille falò not­turni. E pensare che nel passato queste tribù erano in continua lotta fra di loro.

Naturalmente, nell'occasione si distribuisce cibo a tutti, e tutti i distret­ti e villaggi partecipanti concorrono nel portare capi di bestiame ed altre cibarie.

Una specie di rimpatriata generale, dal carattere socio-religioso e ricreativo, che negli anni ha contribuito a creare simpatia verso i cattolici15.


Momenti di gioia...

In giro per i villaggi, però, oltre alla fatica, si possono incontrare pencoli di ogni genere, ma si possono avere anche momenti di gioia.

Una bella giornata. Alle cinque del mattino il missionario è in piedi per le incombenze liturgiche, la Messa, la Comunione e tutto ciò che occorre per l'as­sistenza religiosa.

Poi, «soddisfatto lo spirito dei suoi figli, è costretto ad accontentare tutti circa le infermità corporali. Alla sua venuta paiono tutti ammalati» e mostrano di avere i più strani malanni: a chi duole il fegato, a chi la bocca, a chi la gamba, chi chiede un purgante... «un purgante, se non ti fa bene, male non ti farà... ma egli non è contento, e con un segno molto comico stende la mano per un siga­ro». «Contentatili tutti con le medicine -anche i non bisognosi- e salutatili tutti, mi avvio per un altro villaggio»16.

E lo fa certo con un sorriso, pieno di fiducia nella divina Provvidenza: «Come non spererò se tutto, tutto mi porta a sperare, se questa virtù rende leggiero ogni penoso fardello?»17.

E su e giù, con rinnovata vigoria, per sentieri scoscesi e per ardue ascese, per monti e foreste, dove le distanze si misurano a giorni di cammino e dove non è improbabile incontrare il predone o la tigre.


... «Ma evvi anche la nota triste».

Per qualche gioia tante tristezze, come si può immaginare; riflette il P. Basilio, come per anticipare qualche nostra sensazione: A considerarla nel fer­vore della poesia e sotto l'impeto dell'entusiasmo, la vita del missionario può sembrare talvolta seminata di rose...; eh sì, ma poi, magari, ti arriva all'im­provviso un disastro che distrugge tutto il tuo operato, come nell'aprile del 1930, quando ladò va in fiamme. Un villaggio distrutto, morte, desolazione e disperazione.

La casa del missionario diventa rifugio per tutti, mentre vecchi, bambini e ammalati non possono che sperare in lui: i vicini non intervengono, poiché la superstizione imperante ammonisce che in tal caso attirerebbero la disgrazia sui loro villaggi.

Il povero missionario ha un bel dire di avere pazienza sull'esempio del Santo Giobbe, quando essi gli mostrano la pancia vuota, cosicché non può che distri­buire tutto quello che ha: «i miei cenci, sale, riso e quel poco denaro..., e per tanta miseria mi nascondo e piango, ma questo non giova a sollevarli nella loro nudità, nel loro ventre vuoto...»18.

Inoltre, accade spesso che per mesi il missionario si trovi attorniato da torme di bisognosi a causa di carestie, e... «il cuore non mi regge a narrare i vari epi­sodi, a descrivere le facce macilente come scheletri»: allora è costretto a distri­buire ai più affamati tutte le riserve, togliendole a coloro cui erano destinate, cioè agli orfanelli e orfanelle della sua scuola, in certo senso dei... privilegiati! Ma intanto questi ultimi vengono rimandati a casa digiuni.19

Scelte dolorose ma obbligate.


Miracolo in «lebbroseria»

È il febbraio del 1940; Padre Massari ha 70 anni, di cui 42 trascorsi in Missione. È stanco, si sente vecchio, ha perso il piglio del combattente.

Capisce che è giunto il momento del meritato riposo e quindi decide di trasfe­rirsi in un... accogliente villaggetto di capanne di bambù, dove vivono, segregati, decine di lebbrosi, scacciati e fuggiti dalle più svariate zone della vasta regione.

Con un gesto di ultima e suprema donazione, va a trascorrere là i suoi ulti­mi tempi, a Loilem, dove potrà sentirsi ancora un po' utile, potrà ancora lenire qualche dolore.

Nel darne notizia, l'articolista del Foglietto20 commenta la decisione così: dopo 42 anni di missione, infiammato di sempre maggiore zelo, si è deciso di coronare il suo eroismo col seppellirsi, ancora vivo, tra i lebbrosi, in una di quel­le plaghe di segregazione, che hanno visto le meraviglie dei martiri e dei santi.

Dalla sua relativa lettera, il Massari sembra aver ritrovato nuovi entusiasmi, almeno da come descrive la sua prima domenica in lebbroseria: qui i malati, usciti dalle capanne, parteciparono alla Messa e vollero dimostrargli, così come potevano, la loro gioia per la sua presenza. Poi, a seconda di come permettevano i loro corpi variamente mutili, organizzarono addirittura «un teatrino» in suo onore: quasi tutti vollero rappresentare chi con canti, chi con suoni di vari strumenti di bambù da loro stessi preparati, chi con sgambetti e chi danzando. Furono improv­visati discorsi in varie lingue, inneggiando alle Suore che da un anno e mezzo pro­digano loro cure materne...; ed uno, su musica da lui composta, cantò una specie di sceneggiata, paragonando la suora ad un serpente: ma mentre questo da la morte con il veleno, la suora trafigge sì con la sua siringa, ma per portare sollievo.

Insomma, una vera festa.

Beh, se questo non è miracolo...!


Nel resto del mondo impazza la 2" guerra mondiale

Padre Massari è a Loilem dal 1940; nel villaggio ci sono 20 capanne in cui alloggiano 150 lebbrosi, mentre altri arrivano in continuazione anche da altre regioni, attraverso le foreste. Servirebbero, al momento, almeno cento capanne, e più strumenti, e più medicinali...; dall'Italia martoriata dalla guerra è impos­sibile sperare aiuti21; si rivolge allora, con l'ultimo appello e con l'ultima lette­ra, a due suoi familiari residenti negli Stati Uniti22.

Pensate un po': a Loilem un vecchio missionario e due suore lottano per pro­lungare di qualche giorno o di qualche ora la vita di un centinaio di moribondi. Nel resto del mondo si lotta per abbreviare la vita di milioni di giovani.

Contraddizioni della storia.

Chissà se il Massari e le due suore di Loilem abbiano conosciuto tutta la verità circa i bombardamenti, i campi di sterminio, le bombe atomiche, le mire per una futura spartizione del mondo.

Chissà se il Massari e le due suore di Loilem abbiano dubitato, per un atti­mo, di avere sbagliato tutto, e che la presenza missionaria fosse più indispensa­bile nei palazzi governativi delle grandi capitali del mondo.


Tutto per tutti

II beato Paolo Manna, una delle «glorie» della vita e dell'organizzazione missio­naria, tra le molte pagine dedicate alla salvezza delle anime scrive anche: (II Missionario) maestro di lettura, di scrittura, d'aritmetica, cerca d'illuminare quegli oscuri cervelli; catechista, egli ripete ai fanciulli, agli adulti, ai vecchi, le idee religiose e le formole che le esprimono; prete, battezza, predica, unisce in matrimonio, assol­ve, sacrifica; medico, farmacista, infermiere, egli visita ed assiste ai malati, compone i rimedi e li applica, costruisce feretri e seppellisce i morti; avvocato, difende i piccoli contro i grandi, gli stranieri dai colpi degli indigeni, gl'indigeni contro lo sfruttamen­to degli stranieri; giudice e pacificatore, riconcilia i nemici, impedisce l'effusione del sangue; falegname, zappatore, muratore, operaio, architetto, ingegnere, egli fabbrica case, scuole, chiese, città, traccia strade; egli asciuga le paludi, abbatte gli alberi che producono la malaria, pianta quelli che la tengon lontana, semina e miete, dissoda le foreste e fa fiorire i deserti. Così egli fa tutte le parti, rende tutti i servigi.23


Il Missionario, ALLA FINE

Questi sono concetti e progetti presenti anche nell'opera di padre Basilio, il quale afferma che il missionario «.. .nulla ha dovuto sdegnare: è stato medico, avvo­cato, maestro, artista, agricoltore, cuoco, falegname, fabbro-ferraio... e chi più ne ha più ne metta. Solo così potrà essere fruttuoso il suo apostolato, potrà essere un giorno vero padre dei suoi cristiani, e la sua messe sarà allora ricca e preziosa»24.

Inoltre è da tener conto che per il suo sacrificio continuo, il missionario... non esige né oro né perle, né avorio, né pellicce: ciò che egli da, egli lo da gratuitamente ... così si spende tutta la vita del missionario, fino a tanto che non cadrà esausto sul solco ch'egli ha scavato nel Campo del Signore, cadrà martire dell'a­postolato, martire d'una dedizione di sé stesso in tutti gli istanti, e che ha con­sunto il suo corpo fino alle midolla; martire delle febbri che lo hanno consuma­to, che l'han bruciato a fuoco lento; martire di tutte le privazioni, di tutti i sacri­fici dei quali può esser capace una esistenza umana, e, forse, martire nel senso let­terale della parola, martire fino all'effusione del sangue.25

Padre Massari, la sua fine e il suo fine

È morto, povero tra i più poveri, assistendo i suoi lebbrosi.

Certamente non gli è stato chiesto

quanti «infedeli» avesse convertiti

ma quanti ne avesse aiutati.

Ha potuto rispondere!

Un attimo di silenzio, ogni altra parola è in sovrappiù.

Te Martyrum candidatus laudai exercitus.26

Padre Domenico Pedrotti riferisce di aver sentito raccontare da gente paga­na che per alcune notti dopo la sepoltura si sentivano concerti soavi e misterio­si dalla parte dov'era la tomba del P. Massari. 27

Forse si tratta di un gentile e riconoscente «omaggio» postumo, che si colora di sacralità proprio perché proveniente «da gente pagana». Oltre non si può andare.


1 Nacque il 15 settembre 1870 a Montefortino dove i suoi familiari, che erano di Montalto Marche, avevano stabilito per qualche anno la loro residenza per motivi di lavoro (La Vedetta, Settimanale diocesano, settembre 1968).

2 Fossile di un individuo femminile, scoperto nel 1974 dall'equipe di Donald Johanson nel triangolo di Afar (Etiopia); la sua esistenza e databile fra i tre e i quattro milioni di anni fa. Ritenuto dagli evoluzionisti un antenato dell'uomo, porta il nome di «Homo afarensis»; v. DONALD JOHANSON, MAITLAND EDY, Luy, le orìgini dell'umanità (1981), A. Mondadori, Milano I985.

BASILIO MASSARI, Quindici anni di Apostolato, Stabilimento Grafico Sociale, Montalto Marche 1914, p. 88.

4 F.C., Exempla trahunt, Unione Missionaria del Clero in Italia, Roma 1929, prefazione.

5 DOMENICO AGASS0, Daniele Comboni profeta dell'Africa, Editrice Missionaria Italiana, Bologna 1981, pp. 37, 87. Ma il peggio doveva ancora accadere.

6 GASTONE IMBRIGHI, Bartolomeo Las Casas, Iapadre Ed., L'Aquila 1972, pp. 13, 80, 187.

7 Oltre che geograficamente, la Birmania era terra difficile anche etnicamente, essendo patria» di molte tribù. Negli anni della permanenza del Massari, la Birmania fu dapprima un provincia anglo-indiana, ebbe poi una parziale autonomia, quindi colonia inglese; nel 1942 arri­varono i Giapponesi, quando il missionario si trovava ancora in Birmania, ma in un lebbrosario, cioè in uno Stato... a sé stante.

8 Superstizioni e culto degli idoli erano le forme religiose più diffuse in quelle regioni, e tutti i missionari hanno trovato in esse l'ostacolo più grande all'evangelizzazione; anche il Massari le ha combattute, ma le ha anche studiate, documentate e spesso da esse ha tratto qualche insegnamento.

9 Questa disponibilità ad avere rapporti con rappresentanti di altre religioni può considerarsi pionieristica; considerare l'altra parte come regno di Satana non rientra più nella nostra sensibi­lità: allora, invece, poteva accadere che dall'Europa partissero messaggi da neocrociati, incitanti a contendere a palmo a palmo le anime a rappresentanti di religioni diverse.
Una breve commossa biografia di mons. Rocco Tornatore e presente nel libro «Quindici anni di apostolato», cit., pp. 94-99; ma il Massari ne racconta la vita anche in un volume manoscritto (cfr. PIETRO GHEDDO, Missione Birmania i 140 anni del PIME in Myanmar 1867-2007, EMI, Bologna 2007).
Pare che il Massari non tenga conto delle divisioni e competenze politiche nella zona: solo in qualche fugace accenno parla di Birmani, di Indiani, di Inglesi e di Americani; degli stessi ribelli politici, che teoricamente potrebbero essere i più pericolosi, dice che, dalla loro parte, credono di fare il loro dovere. Evidentemente, a lui interessano le necessità dei villaggi sperduti e abbando­nati.
Ho tanto l'impressione che quando il Massari parla campanilisticamente della concorrenza dei protestanti, dei maomettani, dei buddisti, e soprattutto degli anabattisti, o quando parla con estremo pietismo delle povere anime che non può salvare, o comunica con soddisfazione il nume­ro dei battesimi, delle comunioni ecc., voglia un po' soddisfare la mentalità e le aspettative dei nostri cristiani suoi sostenitori; questi ultimi sono certamente più tacili alla commozione per via di tali argomenti, e quindi più disponibili all'aiuto: certamente avranno pensato...va bene il soste­gno agli indigeni per la fame e per le malattie, ma conversioni...quante'?

10 Della cospicua bibliografia relativa a suor M.A. Tallona, segnalo VINCERNZO CATANI, Maria Assunta la forza dell'amore in «I Santi della Chiesa Truentina», Alda Tecnografica, Grottammare 1999, pp.211-268.

Mi piace anche riportare alcuni versi di ANTONIO TROJANI, tratti dal pocmetto Ecce Pastor Bonus, «pel I Giubileo Episcopale di S.E. Rev.ma Mons. Luigi Ferri Vescovo di Montalto e Ripatransone», Es. Tipografico Sp. Artale, Zara: Suor Maria Assunta, che i candidi gigli/ dei ventisette anni portò in Cina, / qual missionaria, e dove fu composta, /stronca dal fiero morbo, nella bara.

11 A Comunanza, ad es., si realizzavano riuscitissime mostre di oggetti da inviare alle missio­ni, e il popolo faceva a gara nel partecipare (Il Foglietto Diocesano, Tipografia Sisto V, Montalto Marche, anno XIV, n. 3, marzo 1939; XV, 5, maggio 1940).

12 Foglietto, IV, 6, 15 ottobre 1929, p. 12.

13 Il Massari doveva essere tra i migliori seminaristi, se, come si legge in un documento, nel 1892 fu ripetutamentc «laudatus» in occasione del conferimento di premi scolastici da parte del Vescovo Luigi Bonetti; ecco alcuni esempi: In classe Quinta Gymnasii

In Orationc Latina... proxime accessit Basilius Massari [3° classif.].

In Orationc Italica, laudatus verbis amplissimis Basilius Massari [3° classif.].

In Carmine Latino, laud. Basilius Massari [2°].

In Historia et Geographia, tulit praemium secundum Basilius Massari.

In Arithmctica et Geometria, Laudatus verbis amplissima Basilius Massari [2°].

(Da Solemnis praemiorum distributio apud Scholas Episcopalis Seminarii Montisalti, Altoduni, ex Typis De Angelis 1892).

14 BASILIO MASSARI, «Quindici anni...», cit., pp. 91-93.

15 Ibid., pp. 123-125.

16 Bollettino La Diocesi di Sisto V, Ed. Marchigiana S. Giuseppe, Montalto Marche anno VI, n. 4; giugno 1921, pp. 7-8.

17 Il Foglietto Diocesano, IV, n. 8 (erroneamente indicato con il n. 7), dicembre 1929, p. 5.

l8 Ibid., V, 7, 1930, pp. 5-6.

19 Ibid., IV, 1929, pp. 6-7. Spesso si presenta anche il rischio di dover chiudere la sua scuola ed anche l'orfanotrofio, dove sono state formate addirittura delle maestrine da inviare anche in altri villaggi, con la non rosea prospettiva di mandare all'aria pure quel po' di elevazione cultura­le raggiunta (ibid., 10, ott. 1935, pp. 6-7).

20 È quasi certamente il direttore responsabile, Clan. Dott. Ildo Gelosi (XV, 10, ottobre 1940, p. 1). Ispirata certamente all'eroico gesto del Massari, nacque in seguito a Montalto l'Associazione «Amici dei lebbrosi».

21 Nonostante questo, nel 1944 nella raccolta della diocesi di Montalto e ancora presente la voce «Basilio Massari»; per lui sono pervenute 1657 lire: 550 da Montalto, 312 da Force, 50 da Montelparo, 15 da Altino, 20 da Vallegrascia, 100 da Porchia, 500 da Sant'Egidio alla Vibrata, 100 da Nasuto (Resoconto relativo al 1944, da Il Foglietto Diocesano n. 5 del 1945, pp. 4-5). Nasuto è una frazione di Comunanza; da osservare che Sant'Egidio alla Vibrata, come alcune parrocchie del comune di Civitella del Trento, pur trovandosi in Abruzzo, appartengono alla diocesi di Montalto, cui vennero assegnate da Sisto V nel 1586.

22 Quest'ultima lettera è pubblicata postuma sul Foglietto, XXI, 1, gennaio 1946, pp. 3-4. Basilio Massari era morto nel 1945.

23 P. PAOLO MANNA, ... Operarii autem pauci!, Istituto per le Missioni Estere, Milano 1912, pp. 152-153. Il passo è tratto dal Padre Janvier. Lo stesso Paolo Manna precisa un interessante concetto dell'eroismo missionario: Se eroica vuolsi dire la vita del missionario, egli è perché tale dev'essere la vita del vero Sacerdote. Una vita di perpetua castità, il distacco dal mondo, dalle sue pompe e dalle sue gioie, l'esser pronti, quando occorra, ad esporre la propria vita pel gregge dei fedeli, l'esser sempre a disposizione di tutti, sono, se si vuole, atti non comuni ed eroici per gli uomi­ni in generale, ma, trattandosi di Sacerdoti e pastori d'anime, sono atti comuni e propri della vocazione avuta, (ibid., pp. 52-53).

24 BASILIO MASSARI, «Quindici anni...», cit., pp. 100-101. Nel libro l'Autore riporta molte esperienze, interminabili viaggi, gioie e pene. Sempre accorato è l'appello che rivolge alle persone sensibili, come al termine del suo scritto: Chiudo il libro ringraziando vivamente i benefatto­ri della grand'opera di carità verso le Missioni, assicurandoli che chi dà a questo santo fine lo dà a Dio, e lo ritroverà un giorno moltiplicato, il cento per uno... (ibid., p. 125).

25 P. PAOLO MANNA, op. cit., pp. 152-153. Anche il Manna era stato missionario in Birmania, ma era dovuto rimpatriare per motivi di salute.

Il supremo gesto del P. Massari fu quello di dedicare le sue ultime residue forze all'assistenza dei lebbrosi (anche se materialmente spirò fra atroci sotterenze, causate dal «mal della pietra», in casa di Padre Domenico Pedrotti; ha raccolto questa testimonianza Padre Pasquale Ziello, come si evince da uno scritto apparso sul Settimanale diocesano La Vedettadel 15 settembre 1968. Purtroppo, le notizie sugli ultimi tempi del P. Massari sono scarse e non di prima mano, poiché a causa della guerra i rapporti con l'Italia erano difficoltosi: la stessa notizia della sua morte arrivò molto in ritardo.

26 Non vuoi essere un immaginario epitaffio, ina una piccola serie di mie concise riflessioni, conseguenti ad alcune parole, troppo spesso dimenticate, del Vangelo: Ebbi fame e mi deste da mangiare..., ero nudo e mi rivestiste... In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose ad uno dei più piccoli di questi miei fratelli, l'avete fatto a me (Matteo, 25, 35-40). D'altra parte, il buon Samaritano si fece forse scrupolo di aiutare uno sconosciuto, o si premurò forse di sapere prima come la pensasse quel ferito che incontrò fra Gerusalemme e Gerico?

Un devoto pensiero anche ai tanti altri missionari che, in Birmania e in tutto il mondo, hanno tatui sentire la loro presenza cristiana ed umana «ai fratelli più piccoli», donando per tale causa la loro giovinezza e spesso la loro vita.

27 Testinionianza del P. Pedrotti, v. nota 25.


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