Montalto, nostro bene comune.

LA CIVETTA A LA GGIUDIA

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la-civetta-a-la-ggiudia gLA CIVETTA ALLA GIUDIA

Ogni mercoledì, negli ultimi tempi, Taccunè aveva preso l'abitudine di farsi un giretto per il mercato dove acquistava del pesce fritto per colazione. Il rito pagano lo concludeva davanti a un quartuccio di vino nell'osteria di Martille.

Quel mattino, curvo sulle spalle per la sua veneranda età, era distrattamente appoggiato sul bancone di mescita, senza accorgersi che dalla tasca della giacca gli faceva capolino il cartoccio di pesce ancora caldo.

Gli amici, seduti al tavolo, conoscevano bene quell'abitudine e nel vedere la colazione decisero di farla fuori.

Non fu una buona idea perché Taccunè la prese male: fu costretto a fare buon viso allo scherno e alle risate che risuonavano in tutta l'osteria.
Nel tornare a casa con la coda tra le gambe per la mortificazione, pensava alla vendetta da consumare fredda; non era assolutamente disposto a lasciar correre.

Lungo la strada trovò la soluzione al suo problema: una vecchia civetta morta sul lastrico aspettava solo di essere raccolta.

Il giorno dopo si alzò di buonora per condurre a termine il suo fermo proposito: spennò l'animale, gli recise la testa e si sentì fiero nel contemplarlo. Così come si presentava ora, in casseruola avrebbe potuto prendere tranquillamente il posto di un grasso piccione.

Taccunè era un mago tra i fornelli e non gli fu difficile rendere appetitosa quella porcheria. La lasciò freddare e, avvolta nella carta oleata prima e in quella paglia poi, la mise in tasca in maniera che si vedesse.

Nell'osteria salutò gli amici, in modo particolare quelli che lo avevano fatto fesso, e si appoggiò al bancone ordinando il solito quartuccio.

Girato di schiena, si sentì sfilare la civetta dalla tasca e si crogiolò nella soddisfazione: i pesci avevano abboccato.

Vide quei lazzaroni spolpare soddisfatti l'uccello ed accettò di buon grado il bicchiere di vino che, di tanto in tanto, da questi gli veniva offerto. Lo invitarono anche a gradire un pezzetto di quella leccornia ma Taccunè rispose con fermezza senza sedersi:
"Mangiate, mangiate pure con gusto. Tra poco farò colazione con il piccione che porto con me." Ed indicò la tasca vuota senza guardarci.

A quella espressione i commensali sghignazzarono compiaciuti: mangiavano lentamente, manco se addentassero la mole di un tacchino, con il proposito di tirarla per le lunghe.
Gustavano l'espressione sempliciotta di Taccunè che, per l'occasione, aveva assunto l'aspetto del vecchio rimbambito, ignaro e disorientato.
Alla buonora giunsero alla fine ed alzarono il bicchiere per fare con l'amico in piedi un brindisi alla sua salute.

Fu questo il momento in cui Taccunè infilò la mano nella tasca interna della giacca e tirò fuori la testa di civetta. La gettò sugli ossetti tirati a lucido e declamò:
"Vi è piaciuto il pesce fritto? Della civetta che ne dite? Guardate come vi fissa con quegli occhi arrabbiati! Non è contenta che l'avete mangiata."

Fu un parapiglia, chi diede di stomaco e chi rimase impietrito dinanzi agli occhi vitrei di quell'uccellaccio porta iella.
I presenti, nel vedere quelle facce, sbottarono a ridere e raccontarono di quella storia negli anni a venire.

Taccunè aveva colpito ancora e le vittime furono Mario, Edmondo e Vincenzo.
Per quest' ultimo fu un dramma: vomitò per due giorni senza poter mangiare dal subbuglio che aveva nello stomaco. Come ripensava alla civetta ne vedeva gli occhi puntati e gli si rimettevano in movimento le interiora.

La cosa non finì quella mattina. Taccunè, dopo circa dieci giorni, era nuovamente appoggiato al medesimo bancone per farsi un quartuccio, mentre dalla stessa tasca della giacca gli spuntava un salame.

Vincenzo, seduto a breve distanza, aveva ormai superato la crisi. Vide quell'invitante boccone e furtivamente cercò di appropriarsene. Tirò ma trovò resistenza. Provò ancora e Taccunè, senza girarsi, gli disse con voce dileggiante:
" Che succede Vince' quel salame non ti da retta? Non ti viene dietro? Forse è geloso perché ha saputo che ti piace la civetta."
Taccunè aveva cucito lo spago di quel salame sul fondo della tasca.

Questo scherzo si può considerare "il canto del cigno". E' stato l'ultimo prima che "Taccuné" passasse a miglior vita.
Nell'altro mondo forse avrà continuato a spassarsela con lo stesso ritmo e magari tornerà tra noi perché espulso per cattiva condotta. Ci farebbe piacere anche se dovremmo essere più accorti per non cadere ancora nelle maglie delle sue fantastiche trappole.

 

 

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