Montalto, nostro bene comune.

LU MAESTRO BIZZARRI

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Fra gli avventori dell’osteria di Lavi’ c’era Bizzarri, stimato maestro elementare a Patrignone, che faceva visita all’oste allo scopo di corteggiarne la nipote. Come si suol dire: accarezzava il cane per la padrona.

Di quei tempi si aveva ossequioso rispetto per le persone ritenute importanti quali il maestro elementare, il medico condotto, il parroco, il sindaco, il maresciallo dei carabinieri, il farmacista ed il veterinario.
Infatti come entrava nell’osteria il maestro Bizzarri, i presenti elargivano al suo indirizzo gentilezze più o meno come queste:

“Signor maestro buonasera; signor maestro… accomodati qui con noi; Con tutto il rispetto, accetti un bicchiere di quello buono?”

Nella sua eleganza - giacca a righe larghe su pantaloni bianchi, ghette con bottoni di madreperla e scarpe all’inglese, occhialini sulla punta del naso assicurati alla catenella d’argento, paglietta e bastoncino di bambù - il maestro si compiaceva di quella considerazione. Tra i presenti vestiti alla meglio, magari con la giacca stretta dal bottone a tirare sullo stomaco o con le pezze di altro colore sui calzoni, si muoveva come un Cesare, abbagliando pari al sole gli occhi di quella gente semplice e deferente.

Però a Lavi’ tutta quella luce non schiariva la vista forse per colpa dell’occhio acciaccato. Magari con quello buono avrebbe potuto distinguere le differenze se non fosse stato per il gran fumo e la poca luce dei lumi che mettevano tutti alla pari: tutti candidati ad una fregatura.

Stando così le cose una sera fu il turno del maestro che come mise piede nell’osteria animò la creatività di Lavi’ pronto a dare inizio alla sceneggiata:
“Signor maestro buonasera! Capiti proprio come il formaggio sui maccheroni. Ho necessità di scrivere una lettera ma qui, tra noi, non ce n’è uno che sappia mettere nero su bianco: il più istruito ha frequentato la prima elementare, nei pochi giorni in cui ne aveva tempo o voglia, ed è già tanto se sa fare la firma propria a zampe di gallina. Me la fai tu questa cortesia che per te dovrebbe essere un giochetto?”

“Ma certo Lavinio,” rispose Bizarri contento di far bella figura e di essere utile allo zio della fanciulla appassionatamente corteggiata, “per me è veramente un giochetto! Sempre servo tuo! Figurati poi, per così poco.” Inforcò gli occhiali e si pose impettito nel ruolo a lui confacente con carta, penna e calamaio, mentre Lavi’ iniziò a dettare seduto a cavalcioni della seggiola:

“Caro Nicola, dopo aver tanto cercato finalmente ho trovato l’asino che lo scorso anno mi hai chiesto di procurarti. È veramente una bella bestia con l’occhio sveglio, i denti sani e le orecchie dritte; il suo padrone mi ha garantito che è un animale giovane e docile. Gli manca solo la parola! Purtroppo però ha un piccolo difetto: non si muove se non gli fai (…)”.

A questo punto Lavi’ emise un verso che non è assolutamente possibile riportare sulla carta nemmeno con la più buona volontà e la più ricca fantasia. Tale verso è in uso tra i mandriani per smuovere i bovini ed è prodotto con il risucchio della saliva, la lingua appoggiata ad un lato interno dei denti stretti e la bocca forzatamente aperta solo sull’angolo corrispondente.

Sentito lo strano verso, il maestro si fermò, lentamente alzò le sopracciglia, arricciò il naso e guardando Lavi’ da sopra agli occhiali disse:
“E no Lavinio! Questo no si può scrivere.”
Con fare candido e un mezzo timido sorriso Lavi’ rispose:
“Perché mai maestro? Non è mica una parolaccia.”
Bizzarri, colpito da un improvviso tic dell’occhio, ingoiò saliva, schiarì la voce e provò a farsi capire quasi vergognandosene:
“Ma no…; come te lo posso spiegare…; vedi Lavinio non è possibile perché non saprei proprio come scriverlo.”

Lavi’, ben conosceva questa difficoltà, ma ingannevolmente indignato balzò in piedi di scatto, scansò la sedia, si mise a gridare e a dileggiare il maestro al cospetto di tutti:
“ O poveri noi, lo avete sentito il maestro: - non saprei proprio come scriverlo -. Ma cosa insegnate ai ragazzini, a recitare il rosario? La colpa è nostra che mandiamo i nostri figli a perdere tempo prezioso a scuola con voi.”

D’un tratto il sole sfavillante si era spento ed aveva cessato di abbagliare la vista di quella gente semplice e non più deferente. Provava Bizzarri a giustificarsi e far capire a tutti come stavano le cose parlando addirittura di fonetica ed ortografia. Nulla da fare: un maestro doveva essere capace di scrivere ogni cosa. Ormai la pagina era chiusa ed il Cesare era malamente caduto sotto il pugnale di un bruto.

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