Montalto, nostro bene comune.

Un grande missionario piceno, BASILIO MASSARI (1870 - 1945), una vita per la Birmania.

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Apostolato eroico: mons. Tornatore

Potrebbe sembrare un mondo ancora felicemente primitivo, quello dei cosiddetti selvaggi; sembra una visione idilliaca, colta in una situazione otti­male e idealizzata, che neanche avrebbe bisogno di un missionario. Ma i problemi quotidiani sono tanti e di tale gravita, che sarebbe veramente un peccato (mortale) lasciare in abbandono quei poveri cristi, o poveri diavoli che fossero.

In certe condizioni, il non intervento non significa rispetto ma menefreghi­smo, significa semplicemente dire «arrangiatevi, che volete farci, la Natura (o Dio) ha voluto così. Rivolgetevi ai vostri dei, ai vostri spiriti, ai vostri stregoni, agli ossi delle vostre galline».

E non ci riferiamo alle sole superstizioni, bensì alla fame, alla miseria, alle catastrofi naturali, alla piaga delle malattie e alle piaghe della lebbra. È qui che il missionario diventa apostolo ed eroe, e non disgiunge la cura delle anime dalla cura dei corpi.

In questa gara, Basilio Massari ha davanti agli occhi, come modello, la nobi­le figura di mons. Rocco Tornatore di Mondovì, il cui zelo nel curare le anime era pari allo zelo che usava per curare i mali del corpo: e questo «nella più com­pleta oscurità, senza che nessuno possa mai conoscere la sua dedizione e le sue sofferenze per estendere il regno di Dio in quelle contrade e nel suo esercizio continuo di carità corporale».

Chi potrà mai raccontare quanto ha fatto nei tre anni della carestia durata dal 1873 al 1876, con una quarantina di villaggi cristiani da amministrare quasi da solo! Egli cercava l'anima ed il corpo del povero lebbroso, del coleroso, del vaioloso come la cosa più naturale del mondo...; gli atti più grandi li compiva colla semplicità dell'uomo pel quale l'eroismo è virtù abituale...

Un vero vanto per il giovane Massari quello di aver collaborato con l'ormai vecchio mons. Tornatore, suo maestro e missionario per quarantanni, di aver­gli amministrato l'estrema unzione e di averne raccolto l'ultimo respiro.

Certo, il fine ultimo dei missionari era quello di assicurare a più persone pos­sibili la salvezza dell'anima, e per questo fine ci si poteva trovare anche in con­correnza con rappresentanti di altre religioni: ma se il papa Leone XIII chiamò il Tornatore l'Eroe della Birmania, fu soprattutto perché a motivo del suo com­portamento «fu stimato, ammirato ed amato da cattolici, protestanti e pagani»9.

Crediamo che questo sia stato, e sia, il più bel riconoscimento che si possa dare ad un vero missionario.

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